sabato 20 giugno 2015

Ferrata di San Michele

Avevo circa diciassette anni quando Stefano mi propose di salire a San Michele seguendo la Via Ferrata Carlo Giorda. A quel tempo conoscevo molto bene solamente la Via Crucis che parte alle spalle della chiesa di Sant'Ambrogio e sale, con una rapida successione di tornanti, fino alla frazione San Pietro e poi, con un breve tratto di mulattiera, fino alla strada asfaltata che conduce al complesso religioso più celebre del Piemonte.

Allora non avevo mai provato una ferrata, non disponevo del giusto materiale e mi sono ritrovato a salire con delle comuni scarpe da ginnastica, un imbrago preso in prestito che mi dava l'impressione potesse scivolarmi via dai fianchi con estrema facilità, un caschetto (anche quello preso in prestito) e un kit da ferrata decisamente "vissuto".

Ricordo ancora quanta poca fiducia riponessi in quella longe e in quei moschettoni, e quante incertezze nelle prese e nella parete. La quasi totalità del percorso effettuato (solo fino alla prima uscita, tanto per iniziare) venne infatti sporcata procedendo ancorati con le mani al cavo.
Non certo l'approccio giusto. Infatti, mentre percorrevo il breve tratto di sentiero che riporta alla via Crucis per ridiscendere a Sant'Ambrogio, incrociando anche dei giovani camosci, promisi a me stesso che sarei tornato a ripercorrere la Ferrata per completarla tutta e con maggiore "stile".

Sono passati tanti anni. Ho avuto occasione di risalire alla Sacra coprendo quel dislivello di circa 600 metri sulla roccia che copre il versante nord del Pirchiriano anche diverse volte in compagnia, ma quel progetto della "ferrata pulita" era stato accantonato e quasi dimenticato. Fino a quando il Pirchiriano non mi ha reclamato a gran voce. Diretto a Sant'Antonino, un giorno come tanti altri, eccomi passare in auto sotto il suo roccioso profilo. Impossibile non rispondere al suo richiamo.

Questa montagna, che vide l'uomo delle caverne a Vaie e a Villarfocchiardo, i pastori e gli agricoltori neolitici, i palafitticoli dei Laghi di Avigliana e di Trana, fu fortificato dai Liguri e poi dai Celti e divenne fino al 66 d.C., dominio dei due re Cozio.
Subentrati i Romani, questi dedicarono il luogo a divinità alpine, lasciandone traccia in frammenti marmorei epigrafici.
Pirchiriano è il nome antichissimo di questa montagna: forma elegante di Porcarianus o "monte dei porci", analogamente ai vicini Caprasio (monte delle capre) e Musinè (monte degli asini).
Questi nomi hanno un forte legame con il culto dei Celti, popolazione che tra le prime abitò la Valle di Susa.

Impossibile non rimanere ipnotizzati dalla sua figura granitica e massiccia, sormontata dalla elegante Sacra di San Michele, costringendo l'automobilista impaziente in coda dietro di me a suonare il clacson perchè nel frattempo è scattato il semaforo verde.
Ed eccomi allora, un bel sabato soleggiato, al piazzale dove la Via ha inizio, pronto a partire.

Il primo tratto di Ferrata è piuttosto semplice, la pendenza è scarsa, gli appigli numerosi lungo tutto il primo sperone roccioso che costeggia una vecchia cava. Si sale con facilità mentre il panorama si allarga fino ad abbracciare tutto l'imbocco della Valle di Susa. Dall'altra parte della valle il Musinè e il Rocca Sella sono facilmente individuabili, ai loro piedi i centri abitati di Almese, Novaretto, Caprie e Condove, la Dora Riparia scorre tranquilla a centro valle e sotto di noi Sant'Ambrogio e Chiusa San Michele.
Dalla sommità del primo sperone è facile osservare il lavoro d'erosione effettuato dai ghiacciai nella Val di Susa più di diecimila anni fa.
La lingua del ghiacciaio ha scolpito nel tempo il caratteristico profilo a "U" della valle, disseminandola di massi erratici fin quasi alle porte di Torino. Evidenti anche le rocce levigate e striate per l'effetto abrasivo dei detriti spinti  dalla massa di ghiaccio contro le pareti del Pirchiriano maggiormente rivolte ad ovest; una traccia lasciata dal lavoro lento e costante della natura.

Alla nostra sinistra è visibile un piccolo specchio d'acqua, lì ha sede l'Associazione Sportiva Dilettantistica "Verticalife".
I punti più complessi della Ferrata sono assistiti da pioli d'acciaio, ma rari sono i tratti davvero verticali lungo la Via. Dopo circa 300 metri di dislivello si giunge a Pian Cestlet, anche noto come Piasa Buè, un piccolo spazio dove il cavo della Ferrata si interrompe permettendo di imboccare la prima uscita a sinistra, marcata di rosso.
A destra invece un sentiero nel bosco di roverelle si dirige verso il secondo e più grande sperone roccioso dove riprende la Ferrata che prosegue in alcuni tratti con maggiore pendenza fin quasi alle mura della Sacra.

Giunti quasi alla fine della Via possiamo trovare una seconda uscita: siamo nei pressi di U Saut du Cin, dove un sentiero congiungeva la frazione di S.Pietro con Chiusa San Michele.
Anche qui il bosco concede un po' di tregua dal caldo implacabile del sole. Le fronde degli alberi offrono riparo ad alcune piante amanti dell'ombra, come la delicata pervinca, ma anche a numerosi animali come il picchio rosso, che ogni tanto si fa sentire percuotendo il legno degli alberi secchi con il suo becco, oppure il camoscio osservato poco sopra la fine del primo tratto Via Ferrata ed immortalato in una foto.

Si raggiunge, verso la fine, un breve ponte tibetano, aggirabile percorrendo un passaggio più in basso denominato "L'intaglio" e con alcuni brevi tratti si conclude la Via Ferrata proprio sotto le maestose mura dell'Abbazia.
A destra un sentiero aggira la struttura con tratti in salita e discesa molto ripidi (ma assistiti da un parapetto e da alcune corde fisse) fino a sbucare proprio davanti al piazzale, non lontano dal Sepolcro dei Monaci.

Di tutto l'enorme complesso della Sacra questa è senza ombra di
dubbio la mia struttura preferita.
Inizialmente ritenuta una cappella cimiteriale, si tratta di un antico tempietto (o quel che ne rimane) che probabilmente riproduce il Santo Sepolcro: una sorta di anticipo per i pellegrini diretti in Terra Santa. Per me il Sepolcro dei Monaci è un luogo meraviglioso e carico di ricordi, toccando la sua pietra mi sento poco meno di un frammento della sua immensa storia, con la quale non posso fare a meno di entrare in rapporto restando per un po' seduto in silenzio, all'ombra delle sue mura.
Pochi sono i luoghi che custodiscono parte del mio cuore, ma il Sepolcro dei Monaci può fregiarsi di questo elemento distintivo.

Sepolcro dei Monaci

Giunta infine l'ora di rientrare imbocco l'antica mulattiera che mi riporta a Sant'Ambrogio in meno di quaranta minuti.
In definitiva la Via Ferrata di San Michele "Carlo Giorda" non risulta particolarmente impegnativa.
È considerata di difficoltà media probabilmente più per la sua lunghezza che per la effettiva difficoltà tecnica. I passaggi impegnativi sono sporadici e in ogni caso ben assistiti, le aree dove sostare sono numerose e ben distribuite lungo tutto il percorso.
Il tempo di percorrenza è stimato intorno alle 4-5 ore. Il mio consiglio è di percorrere questa Via Ferrata con calma, assaporando ogni passaggio, gustando ogni momento, vivendo appieno ogni emozione che questa ascensione è in grado di offrire.
Un saluto a Luigi che mi ha accompagnato fino all'attacco della Via, a Elena incontrata lì per caso con i ragazzi del To 10, alla giovane coppia bolognese, Fede e Simo, con i quali ho condiviso esperienze ed itinerari, immersi nella meravigliosa quiete del Sepolcro dei Monaci.











Nessun commento:

Posta un commento