lunedì 24 giugno 2013

Fulmini in montagna - comportamenti da adottare

FALSE CREDENZE
  • Il fulmine è un pericolo sempre mortale. - Falso.
  • L'ideale per proteggersi da un fulmine è una faglia, una piccola nicchia sotto una roccia o sotto uno strapiombo. - È esattamente il contrario.
  • Il fulmine colpisce di preferenza tutte le masse metalliche, indipendentemente dalla loro forma. - No, una roccia appuntita sarà più pericolosa di una massa metallica arrotondata.
Una folgorazione è rara in pianura ma molto meno in montagna. Ciò appare logico quando si conosce il meccanismo del fulmine.

Non vi è fulmine senza cumulo-nembi. Il cumulo-nembo è la sola nuvola che si accompagna alla grandine o alla folgore. Il suo sviluppo verticale è il maggiore perché va dai bassi strati fino ai limiti della tropopausa. Questa è tanto più alta quanto più ci si avvicina all'equatore, il che spiega l'eccezionale violenza dei temporali sotto le latitudini intertropicali.
L'interno della nube è la sede delle ascendenze e delle discendenze molto forti (più o meno 20 m/sec) che assicurano un ciclo verticale alle particelle d'acqua fino a che queste diventano ghiaccio negli alti strati. Questi movimenti molto vasti creano una ionizzazione della nuvola che diventa, in poche ore, un gigantesco accumulatore elettrico la cui energia equivale per una nuvola media a milioni di kilowatt.
Schematicamente, le cariche positive si accumulano sulla sommità e le negative nella parte inferiore. La superficie della crosta terrestre è normalmente ricoperta di cariche negative, ma la polarità s'inverte sotto la nuvola, creando differenze di potenziale di parecchie centinaia di milioni di volt, tra la base della nuvola e il suolo.
È lo strato d'aria esistente tra la nuvola e il terreno che funziona da dielettrico, più comunemente chiamato isolante. Con l'avanzare della giornata, soprattutto in estate, il calore del sole accelera i movimenti convettivi sotto la nuvola, spiegando la maggiore frequenza dei temporali estivi verso la fine del pomeriggio.
L'attività dei fenomeni meteorologici è in linea generale accelerata dal passaggio sulle catene montuose: si tratta di quella che viene chiamata influenza orografica. Il rilievo è spesso il destabilizzatore che scatenerà il temporale, da una parte a causa del sollevamento che provoca, dall'altra parte a causa dell'avvicinamento del suolo con il cumulo-nembo.
Si può quindi immaginare quale messa a terra ideale può rappresentare ad esempio il massiccio dei Drus, irto di punte granitiche, quando un cumulo-nembo che arriva da ovest senza trovare ostacoli lo investe. La statua della vergine carbonizzata che domina i Drus ne è la testimonianza.
La folgore è attratta dalle zone del suolo ricche di cariche positive.
Ora, esiste una legge fisica secondo la quale le cariche positive si concentrano sulle zone a forte curvatura, cosa che ha come effetto di aumentare il campo elettrico. La curvatura più forte è la punta, è quindi su tutti gli oggetti appuntiti che il fulmine si dirigerà preferibilmente. I parafulmini o gli alberi isolati in pianura, i picchi rocciosi in montagna. A pari altezza un massiccio come i Drus sarà colpito molto più spesso dalla folgore proprio a causa delle sue punte rocciose direzionate verso il cielo. L'effetto prodotto dalla punta riguarda esclusivamente la forma e non il materiale, come si crede spesso.
Come proteggersi dal fulmine in montagna?
Non perdere tempo, non appena si vede arrivare la grossa massa grigio violacea di un cumulo-nembo soprattutto quando si sente quel crepitio dovuto all'ionizzazione dell'aria.
Bisogna dapprima evitare un impatto diretto con il fulmine: ci si deve quindi allontanare in fretta da ogni prominenza, da ogni cresta. Se si è su una cresta, bisogna scendere almeno di 20-30 metri in altezza dalle cime.
Si deve cercare riparo allontanandosi da un potenziale punto di impatto: si è molto più al sicuro ai piedi di una roccia che isolati in mezzo ad un alpeggio, di cui rappresenteremmo noi stessi il punto prominente. L'importante è conoscere poche regole:
- La roccia presso la quale si cercherà riparo avrà un'altezza di almeno 5 metri, ancor meglio se sarà più alta. Per esempio 20 metri.
- Si calcoli che la zona riparata da un impatto diretto da questa roccia corrisponda a un cerchio che abbia come centro questa roccia e il cui raggio sia uguale alla sua altezza.
- La zona ideale è in realtà una corona, perché sarà opportuno sedersi a una distanza di almeno 2 metri dai piedi della roccia, per evitare di cadere vittima delle correnti di derivazione.

Questa protezione ideale non è quindi quella che l'istinto ci ordinerebbe, ossia i buchi, le fessure, le
grotte, il riparo di uno strapiombo: tutti questi nascondigli sono particolarmente colpiti da fulmini, specialmente se si tiene conto delle correnti di scarica, che seguono immediatamente l'impatto di un fulmine.
Queste correnti di scarica si dirigono verso la crosta terrestre attraverso i percorsi di minore resistenza elettrica, ossia gli stessi in cui transita l'acqua che ha un'ottima conducibilità elettrica: fessure, buchi, canaletti di scolo, grotte...
Questi nascondigli che costituiscono una tentazione sono invece trappole da evitare.
Occorre sedersi su un sacco, su un fascio di corde e non dimenticare che il corpo, soprattutto se è inumidito dalla pioggia o dal sudore, offre meno resistenza della roccia e sarà quindi un percorso privilegiato. Ci si appallottolerà su sé stessi, in modo da diminuire il più possibile la distanza tra i punti di contatto del corpo con una parete se si trova alle nostre spalle. La differenza di potenziale creata è infatti proporzionale a questa distanza.
Si provvederà affinché la piccozza o altri oggetti a punta non sporgano dallo zaino.
Con queste precauzioni diminuirete considerevolmente i rischi.

In Francia vi è ogni anno una media di 28 decessi per folgorazione, di cui 9 in montagna.
Su 16 persone colpite dal fulmine e curate, a Chamonix, in un anno, vi sono stati 7 morti e 9 sopravvissuti. Questa seconda cifra conferma che folgore e morte non si accompagnano necessariamente.
René Desmaison ne è uno dei numerosi testimoni, colpito da quattro scariche nell'Agosto del 1966 proprio sulla parete del Drus e sopravvissuto.


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