giovedì 30 gennaio 2014

Perla del mese - Gennaio

L’ebrezza di quell’ora passata lassù,
isolato dal mondo nella gloria delle altezze,
potrebbe essere sufficiente a giustificare qualunque follia.
 
[Giusto Gervasutti]

martedì 14 gennaio 2014

Monte Momello

Il Monte Momello è un piccolo rilievo di circa 774 m che si erge sopra il centro abitato di Germagnano nella Valle di Lanzo ed è una tappa importante del “Trofeo Monte Momello” una corsa in montagna che si sviluppa su un anello di circa 10 km e che viene disputato ogni anno solitamente nel mese di Maggio.
L'itinerario che porta in vetta è classificabile come T.
La sua semplicità e rapidità di esecuzione lo rendono una piacevole passeggiata in qualsiasi stagione.
Partito dalla piazza antistante la Chiesa di Germagnano mi dirigo verso Strada Margaula. Incontro subito una fontana; il sole invernale intiepidisce appena la temperatura e la camminata che mi aspetta è di appena un'ora ma preferisco comunque fare una buona scorta d'acqua.
Subito dopo una breve salita su strada asfaltata è visibile sulla sinistra un sentiero che sale dolcemente seguendo un ruscello, oltrepassa il corso d'acqua su un ponte in pietra e poi raggiunge la Frazione Margaula con un paio di tornanti immersi nel bosco di querce e castagni.
Questo tratto di sentiero è stato marcato con segni differenti che si sono accumulati nel tempo: i colori rosso, bianco e giallo ormai sbiaditi e consumati dagli anni si intravedono sulle pietre coperte dal muschio o nascoste dai rovi. Strisce di nastro bianco/rosso legate ai rami degli alberi, probabili superstiti dei passati eventi sportivi di corsa in salita, oscillano tristi donando al sentiero un'aria malinconica.
In effetti il primo tratto di sentiero appare poco utilizzato, a vantaggio della più comoda strada asfaltata, ma decido comunque di percorrerlo. La mia determinazione viene premiata con l'inaspettato incontro con un piccolo cervo che, per nulla intimorito dalla mia presenza, mi concede uno scatto a distanza relativamente ridotta per poi esibire tutta la sua selvatica agilità scomparendo fulmineo con tre balzi dall'altra parte del torrente.
Passando tra le abitazioni di Frazione Margaula si possono distinguere i segni gialli e bianchi a terra che indicano la direzione da percorrere. Una bacheca in legno riporta il percorso su un pannello informativo e un cartello in legno indica la destinazione: Madonna degli Alpini.
Si imbocca quindi il sentiero proprio accanto alla legnaia di una delle ultime abitazioni della frazione e si prosegue su una mulattiera a tratti lastricata che a differenza del primo tratto di sentiero percorso in precedenza si presenta decisamente in ottimo stato.
Non lontano dall'ultima abitazione si incontra un bivio, occorre tenere la destra (indicata anche da frecce rosse su cartelli di legno posti sugli alberi) e camminare per un lungo tratto a mezza costa.
Alla nostra sinistra Il Turu si staglia alto dall'altra parte della valle.
Una legione di giovani pini bassi, probabile frutto del lavoro di miglioramento del patrimonio forestale gestito dal Comune di Germagnano e dall'Assessorato all'Economia Montana e Foreste regionale, ci concede una buona visuale fino alla Cartiera di Germagnano.
Proseguiamo mentre lo sferragliare dei treni GTT che percorrono la ferrovia si fa sentire risuonando tra le montagne fino a giungere ad un altro bivio. Anche in questo caso è necessario mantenere la destra salendo in direzione della Madonna degli Alpini.
Il percorso si inoltra all'interno di un bosco incantevole e, dopo un paio di tornanti che sembrano tracciati dalle radici stesse degli alberi, punta con decisione alla sommità del Momello.
Poco prima del punto più alto del rilievo, segnato da un omino di pietra marcato di blu, un cartello indicherà un delizioso capanno sulla destra: la meta finale della nostra rapida escursione.
Una targa in legno accanto all'ingresso porta subito al pensiero agli Alpini caduti per la Patria (o che come si dice in gergo sono “andati avanti”) poco più in basso la statua della Vergine degli Alpini veglia sulla valle sottostante e la croce di ferro, sostituzione di quella in legno posta dagli abitanti come voto a protezione dalla grandine nel lontano 1765, ci accoglie scintillando con i raggi del sole.
Dallo spiazzo antistante il rifugio il paesaggio è molto carino. Nonostante l'altitudine ridotta il panorama ci permette di osservare il centro abitato di Germagnano sotto di noi, il già citato Turu con i suoi 1355 m e le Grange di Germagnano.
A fondo valle la Stura di Lanzo scivola sinuosa per poi passare sotto il Ponte del Diavolo facilmente individuabile sulla sinistra. Non lontano la città di Lanzo ed ancora più avanti il Comune di Balangero e l'inconfondibile sagoma della Chiesa di San Giacomo.
La foschia impedisce alla visuale di proseguire oltre verso Torino, ma procedendo a sinistra con lo sguardo possiamo notare la Cappellina di San Vittore a 891 m accanto all'Amiantifera di Balangero ed alla sua cava; e poi ancora il Pilone del Merlo, Pian di Rossa e Rocca Rubat, ancora a sinistra Rocca Turi, Rocca Frigerole con i suoi 1729 m e per finire le cime innevate del Vaccarezza, del Monte Angiolino, il Colle della Croce d'Intror e Bric Volpat.
All'interno, il rifugio è piccolo ma accogliente e pulito. Lascio la mia annotazione sul quaderno dei visitatori e dopo un breve spuntino ritorno sui miei passi che questa volta decido di percorrere con una rapida corsa in discesa. In meno di trenta minuti sono nuovamente alla fontana, senza fiato ma felice.
L'escursione sul Momello è stata breve ma gradevole, adatta a tutti.















domenica 5 gennaio 2014

Valanghe - metamorfosi e nozioni tecniche

Alcuni dati
-Una valanga in pieno sviluppo può raggiungere una massa di un milione di tonnellate e una forza d'impatto di 145 tonnellate al metro quadrato, 48 volte la forza sufficiente per abbattere uno chalet.
-La velocità aerea di una valanga di neve farinosa può raggiungere i 360 km/h, ossia due volte la velocità record mai raggiunta da uno sciatore.
-La valanga spontanea più micidiale si staccò in Perù nel 1970. La città di Yungay fu rasa al suolo e vi furono circa 24.000 vittime.
-Nel 218 a.C., le Alpi innevate uccisero la metà dei 38.000 soldati di Annibale Barca.
 
Per la sopravvivenza e la sicurezza in montagna sono utili nozioni elementari sulla formazione e l'evoluzione della neve, sia che si tratti di sci o di escursionismo, nozioni che servono comunque per un miglior adattamento agli ambienti innevati in generale.
Che si tratti di piantare la tenda nelle nebbie invernali del Grande Nord canadese o sotto il blizzard della banchisa, che si sia costretti ad attraversare un ponte di neve su un crepaccio, o seguire una linea di cresta su una piattaforma esposta al vento, dovremmo sempre soppesare un rischio legato allo stesso elemento: la neve.
La neve fitta che cade dalle nuvole a 30 cm al secondo e che pesa solo 30 kg al m³, fino al ghiaccio che schiaccia i rilievi con i suoi 917 kg al m³, l'elemento di base è esattamente lo stesso, un elemento cioè che ha subito una metamorfosi integrale.
In funzione del tempo, della meteorologia locale, dal contenuto in acqua sempre più grande, si passa dai magnifici cristalli di neve fresca agli impressionanti seracchi di ghiaccio azzurrino.
Questa trasformazione è provocata da due tipi principali di metamorfosi che sono spesso intricati nel tempo: la “metamorfosi distruttiva” e la “metamorfosi costruttiva”.
Circolano molti pregiudizi riguardo a queste due metamorfosi, incoraggiate da spiegazioni libresche raramente semplici, ma una volta compreso il loro meccanismo, tutto il resto è solo concatenazione logica e basterà solo un po' di buonsenso per comprendere fino in fondo il fenomeno delle valanghe.
 
La metamorfosi distruttiva
Essa inizia, fin dalle prime ore, sulla neve caduta di fresco. Il termine distruttivo non ha nulla a che vedere con un aumento del pericolo di valanga, ma riguarda la distruzione delle sottili arborescenze della neve fresca a vantaggio di quelle più grosse. Grazie alle differenze di pressione del vapore acqueo, si verifica un'evaporazione alle punte dei cristalli e depositi nelle cavità dei fiocchi. Tutto si evolve verso una semplificazione della struttura, passando dalla stella fresca, spesso molto ramificata, a un aggregato farinoso in cui non si distingue più che una forma stellare approssimativa, e poi una forma finale grossolanamente sferica, detta granulosa.
«La natura ha orrore del vuoto», e questo passaggio da una forma sofisticata a una forma arrotondata partecipa all'assestamento progressivo della neve.
Questa metamorfosi è un fenomeno irreversibile, e la neve divenuta granulosa non ritornerà più farinosa. Si confonde spesso la neve fresca e quella farinosa, mentre quest'ultima è una neve già parzialmente trasformata.
Questa metamorfosi dura alcuni giorni, e avviene tanto più rapidamente quanto più la temperatura si avvicina allo 0°C. Non ha tuttavia niente a che vedere con la fusione. È un fenomeno piuttosto benefico perché provoca l'assestamento del manto nevoso.
 
La metamorfosi costruttiva
È dovuta al gradiente di temperatura tra la superficie nevosa, la cui media nelle 24 ore è molto bassa (spesso -15°C) e lo strato profondo a contatto del suolo (-1°C per esempio).
Se lo strato del mantello è di 70 cm, il gradiente sarà, in questo esempio, di 0,20°C per centimetro. Più il gradiente è elevato, più questa metamorfosi è rapida. I granuli vicino al suolo si sublimano (la sublimazione è il passaggio diretto dallo stato solido allo stato di vapore) e il vapore acqueo così prodotto risale verso gli strati superficiali ancora aerei, e molto più freddi. Questo vapore va dunque a condensarsi attorno ai granuli freddi superiori, dando loro una forma caratteristica di piccole piramidi o di bussolotti rovesciati. Vi è dunque trasporto di ghiaccio verso l'alto e di conseguenza indebolimento della densità degli strati inferiori e quindi l'insieme diventa fragile.
La formazione di questi bussolotti è all'origine del termine di metamorfosi costruttiva, una qualifica ancora ingannatrice, poiché questi bussolotti non hanno alcuna coesione e sono pronti a rotolare come biglie, formando quella che si chiama la neve fluida.
È dunque un fenomeno molto pericoloso.
Questa evoluzione non si verifica se tutto viene ricoperto da una nuova caduta: il nuovo strato di neve fresca abbassa, infatti, il gradiente di temperatura in seno allo strato precedente e lo comprime sotto il proprio peso, rendendo la neve meno porosa e impedendo ogni circolazione verticale del vapore.
Dal punto di vista della metamorfosi costruttiva, ogni strato è dunque protetto da quello che lo ricopre, se questo cade al momento giusto.
Se cade invece quando la metamorfosi costruttiva ha avuto il tempo di verificarsi, va a ricoprire un vero tappeto di biglie, che offre un insieme molto instabile. È così che si giustifica il pericolo, grandissimo, di valanghe durante gli inverni tardivi, quando spessi strati di neve cadono su un primo strato unico caduto un mese prima e completamente trasformato in una specie di gigantesco nastro trasportatore.
Esistono ancora due tipi di metamorfosi da prendere in considerazione: la metamorfosi di compressione e la metamorfosi di fusione.
 
La metamorfosi di compressione
La neve si sovrappone agli altri due strati: sotto il peso degli strati successivi, i cristalli si saldano, consolidando l'insieme (salvo se sono posati su una base di neve fluida!), esattamente come fanno in un secchiello i cubetti di ghiaccio, che hanno la tendenza a saldarsi e a comprimersi. Questa metamorfosi consolida il manto nevoso.
 
La metamorfosi di fusione
Durante un'insolazione prolungata con una temperatura superiore a 0°C, c'è un meccanismo inverso a quello della metamorfosi costruttiva; la neve di superficie si scioglie, e l'acqua scorre nel mantello, andando a congelarsi intorno ai grani più profondi rimasti a temperatura negativa. Questa volta vi è trasporto di ghiaccio verso il basso. La base diventa sempre più compatta. È così che si forma la neve di primavera e (in un secondo tempo) il nevato che si conserverà da un anno all'altro a grandi altezze.